Le dimensioni del futuro non hanno frontiere
nè limiti spazio-temporali
New relational dimensions
The future dimensions have no borders
nor temporal limits
Nell’era della socializzazione i limiti spazio-temporali scompaiono. Offuscati dal potere dell’interazione tecnologica, diventano superabili.
L’automobile, simulacro dello spazio abitativo mobile per eccellenza del XX secolo, che ci consente di spostarci e coprire distanze altrimenti irraggiungibili, oggi è stata pressoché rimpiazzata dalla tecnologia mobile che ci consente di coprire distanze impensabili alla velocità di qualche “megasecondo”.
Fondamentalmente la percezione della distanza è stata distorta e con lei anche quella della presenza.
Oggi riusciamo a svolgere più attività contemporaneamente; spesso ignorando ciò che ci circonda, ascoltiamo musica, chattiamo, leggiamo messaggi e alla fine non conta dove siamo: fermi ad un semaforo, seduti in treno, in tram, in autobus veniamo tartassati sempre e comunque da messaggi di ogni genere.
Oggi viviamo più che mai nel virtual show e facciamo virtual showing.
Sempre più viaggiatori virtuali e sempre meno camminatori seriali, grazie anche alle pandemie, sperimentiamo giornalmente, chiusi nel vortice delle nostre cellule tecnologiche, consacrate dimensioni emozionali.
Cambiano i parametri spazio-temporali e gli spazi dimensionali si sovrappongono, interscambiando realtà dove più o meno consapevolmente, siamo attori pressoché passivi.
Dalla nostra “casa-tana”, sempre meno casa e sempre più tana, entriamo in ambiti che viviamo con forzato distacco e con diffidenza, (mi riferisco ai tradizionali “luoghi non luoghi”). Gli unici spazi in cui ci sentiamo a proprio agio e che trattiamo con riverenza sono quelli della “nostra” tecnologia mobile, che diventano sempre più indispensabili e sacri.
Nei nostri mobile phone la socializzazione è catalogata alfabeticamente, per nomi e argomenti che organizziamo rigorosamente.
Oggi la tecnologia mobile è il mezzo che ci consente di viaggiare nella realtà virtuale e la scegliamo con la stessa cura che dedichiamo all’acquisto di un’autovettura o alla scelta della nostra “tana”.
Sono forse parole trite e ritrite? Ma quante persone ci fanno ancora caso a tutto ciò? Quanti, dietro una socializzazione ad oltranza riescono ad intravedere il pericolo latente del totalitarismo tecnologico?
Quanti si rendono conto di questo falso egualitarismo tecnologico?
Falso perché fa sembrare tutto a portata di mano e possibile, quando in realtà il campo d’azione che ci viene messo a disposizione è sempre più limitato, e noi ne siamo sempre più dipendenti e soli.
Queste considerazioni non sono contro il progresso tecnologico ma contro il suo simulacro. Sono un invito a riflettere sul fatto che la tecnologia è un mezzo e non “il mezzo”, che i contenuti ne sono l’anima, che siamo noi a fare la differenza nel momento in cui, consapevoli delle potenzialità e dei rischi che accompagnano le nuove tecnologie, ce ne serviamo per creare e non per farci soggiogare.
UK
In the era of socialization, the temporal borders disappear. Blurred by the power of technological interaction, they become surmountable.
The car, simulacrum of the mobile living space par excellence of the 20th century, which allows us to move and cover otherwise unreachable distances, has now been almost replaced by mobile technology that allows us to cover unthinkable distances at the speed of a few “megaseconds”.
Basically, the perception of distance has been distorted and with it the perception of presence.
Today we are able to carry out several activities at the same time, often ignoring what’s happening around us. We listen to music, we chat, we read messages and in the end it doesn’t matter where we are: stopped at a traffic light, sitting in a train, in a streetcar, in a bus we are always bombarded by messages of all kinds.
Today we live more than ever in the virtual show and do virtual showing.
More and more virtual travelers and less and less serial walkers, thanks also to pandemics, we daily experience , closed in the vortex of our technological cells, dedicated emotional dimensions.
Space-time parameters change and dimensional spaces overlap, interchanging realities where we, more or less consciously, are almost passive actors.
From our “home – den”, less and less home and more and more den, we enter areas that we live with forced detachment and distrust (here, I refer to traditional “non places”). The only spaces in which we feel at ease and which we treat with reverence are those of “our” mobile technology, that are increasingly indispensable and sacred.
On our mobile phones, socializing is categorized alphabetically, by names and topics that we strictly organize.
Today, mobile technology is the means that allows us to travel in virtual reality, and we choose it with the same care that we deserve to buying a car or choosing our “den”.
Are these perhaps trite words? But how many people still pay attention to all this? How many, behind a regardless socialization, are able to catch the latent danger of technological totalitarianism?
How many are aware of its false technological egalitarianism?
False because it gives the sensation that everything’s possible, while our field of action is increasingly limited, and we are increasingly technologically addicted and lonely.
These considerations are not against technological progress, but against its simulacrum. They are an invitation to reflect on the fact that technology is a means and not “the means”, that contents are the real soul, that we are the one who make the difference when, aware of the potential and risks of new technologies, we use technologies to create without being subjugated to them.